CASSAZIONE CIVILE, SEZ. III, 26/03/2024 N. 8116
Il termine rendita indica qualsiasi prestazione a carattere periodico che abbia ad oggetto denaro o altra quantità di cose fungibili.
Il contratto di rendita ha in genere la funzione e lo scopo di convertire in prestazioni periodiche un capitale o un bene. Infatti, la costituzione di una rendita si attua mediante la consegna di un bene o il versamento di un capitale: chi lo riceve deve eseguire prestazioni periodiche come corrispettivo di una cessione onerosa o come onere di una attribuzione a titolo gratuito.
Si distinguono due fattispecie di rendita:
- la rendita perpetua è il contratto con cui una parte cede un immobile (rendita fondiaria) o una capitale (rendita semplice) all’altra parte, che in cambio le attribuisce il diritto di esigere in perpetuo la prestazione periodica di una somma di denaro o di una certa quantità di cose fungibili (art. 1861 cc). Al debitore è attribuito un diritto di riscatto: questi può liberarsi dal suo obbligo di prestazione periodica pagando la somma che risulta dalla capitalizzazione della rendita annua, sulla base dell’interesse legale (e tale diritto non può essere escluso per accordo tra le parti). Le parti, però, possono stabilire che il riscatto non si compia durante la vita del beneficiario o prima di un certo termine (sullo specifico punto, la legge fissa il limite di 10 anni nella rendita semplice e 30 in quella fondiaria);
- la rendita vitalizia è il contratto con cui una parte si obbliga a pagare una rendita al beneficiario per tutta la vita del beneficiario stesso o di un terzo. Il beneficiario può essere la stessa controparte o anche una persona diversa: in tale ultimo caso si ricorre all’istituto del contratto a favore di terzo. Normalmente la rendita vitalizia è un contratto a titolo oneroso in quanto l’obbligazione viene assunta dietro corrispettivo consistente nella cessione di un bene mobile, immobile o di un capitale, anche se non mancano casi in cui sia a titolo gratuito (con donazione o per testamento). La rendita vitalizia è un contratto aleatorio poiché l’entità della prestazione dipende da un fatto futuro ed incerto quale è la durata della vita umana: pertanto, il debitore non può liberarsi dall’obbligo di pagare la rendita, anche se il contratto è divenuto particolarmente oneroso. Nemmeno può liberarsene restituendo il capitale e rinunciando alle rate già pagate.
Ciò posto, con riguardo al contratto di rendita vitalizia si rileva che una recentissima sentenza della Suprema Corte (Cass. Civ. n. 8116/2024) ha affermato come in tema di accertamento dell’alea, la cui mancanza, trattandosi di elemento essenziale del contratto, ne determina la nullità, sia necessario verificare, sulla base delle pattuizioni negoziali, se sussisteva o meno tra le parti il requisito della “equivalenza del rischio“, cioè se al momento della conclusione del contratto era configurabile per il vitaliziato ed il vitaliziante un’uguale probabilità di guadagno o di perdita, dovendosi tenere conto, a tal fine, con riferimento alle prestazioni delle parti, sia dell’entità della rendita che della presumibile durata della stessa, in relazione alla possibilità di sopravvivenza del beneficiario; ne consegue che l’alea deve ritenersi mancante e, per l’effetto, nullo il contratto se, per l’età e le condizioni di salute del vitaliziato, già al momento del contratto era prefigurabile, con ragionevole certezza, il tempo del suo decesso e quindi possibile calcolare, per entrambe le parti, guadagni e perdite.
Tanto premesso, con riguardo ai profili problematici relativi all’istituto della rendita, si rileva come al creditore del cedente sia concessa l’azione revocatoria a salvaguardia dell’integrità del patrimonio del debitore, qualora quest’ultimo compia atti con i quali si spogli dei propri beni e li sottragga al soddisfacimento creditorio.
Presupposti per esperire tale azione, operata una valutazione di opportunità, sono: i) esistenza di un credito, anche se litigioso e non esigibile; ii) atto di disposizione inter vivos compiuto dal debitore; iii) diminuzione del patrimonio del debitore; iv) consapevolezza del debitore di arrecare, con il proprio atto, un pregiudizio al creditore.
L’onere di provare la consapevolezza dell’acquirente spetta a chi agisce in revocatoria.
Esperendo tale azione con esito vittorioso l’atto di cessione potrebbe essere dichiarato inefficace.
Ulteriore profilo problematico, in tema di rendita, riguarda l’eventualità che un erede legittimario possa esperire azione di riduzione: infatti, ove le prestazioni (cessione e rendita) – pur tenendo conto del tipico rischio insito nell’accordo – non siano proporzionate nel valore, il contratto potrebbe rivelare una simulazione, in quanto potrebbe nascondere una donazione lesiva delle quote di eredi legittimari. In tale ipotesi, il legittimario potrebbe agire a tutela della propria quota di legittima, chiedendo la riduzione, per quanto quivi ci occupa, delle donazioni eccedenti la quota di cui il de cuius poteva disporre (Cass. Civ. 7479/2013).