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Appalti e diritti reali Diritto Civile

I termini per far valere la garanzia per vizi e difetti nell’appalto

CASSAZIONE CIVILE SEZ. II, 16/06/2022, N.19343

La garanzia per i vizi e difetti a cui è tenuto l’appaltatore è regolata da precisi limiti temporali.

La regola generale, dettata dall’art. 1667 c.c., individua due momenti.

Il primo: il committente deve, a pena di decadenza, denunziare all’appaltatore le difformità o i vizi entro sessanta giorni dalla scoperta. La denuncia non è necessaria se l’appaltatore ha riconosciuto le difformità o i vizi o se li ha occultati.

Si può parlare di scoperta, momento da cui decorrono i sessanta giorni, quando “il committente abbia conseguito un apprezzabile grado di conoscenza oggettiva della gravità dei difetti e della loro derivazione causale dall’imperfetta esecuzione dell’opera, non essendo sufficienti, viceversa, manifestazioni di scarsa rilevanza e semplici sospetti” (Cassazione civile sez. II, 31/05/2011, n. 12030).

La Cassazione ha tuttavia chiarito che “per la piena e completa conoscenza dei vizi e delle loro cause non è necessario che, ai fini della denuncia, sia previamente espletato un accertamento peritale, qualora i vizi medesimi, anche in assenza o prima di esso, presentino caratteri tali da poter essere individuati nella loro esistenza ed eziologia” (Cassazione civile sez. II, 16/06/2022, n. 19343)

Il secondo: il diritto del committente al risarcimento si prescrive se, a seguito della tempestiva denuncia, non agisce contro l’appaltatore entro due anni dal giorno della consegna dell’opera.

La prescrizione invece non opera in un caso particolare, ovvero quanto il committente è citato in giudizio da parte dell’appaltatore (il che spesso avviene per ottenere il pagamento del corrispettivo). Infatti in questo caso il committente può sempre far valere la garanzia, purché le difformità o i vizi siano stati denunziati entro sessanta giorni dalla scoperta e prima che siano decorsi i due anni dalla consegna.

Vi è poi una regola speciale, prevista dall’art. 1669 c.c., che riguarda solo gli immobili: se nel corso di dieci anni dal compimento, l’opera, per vizio del suolo o per difetto della costruzione, rovina in tutto o in parte, ovvero presenta evidente pericolo di rovina o gravi difetti, l’appaltatore è responsabile nei confronti del committente e dei suoi aventi causa, purché sia fatta la denunzia entro un anno dalla scoperta.

In questo caso, però, il committente deve agire entro un anno dalla denunzia, pena la prescrizione del diritto.

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Appalti e diritti reali Diritto Civile

Quali sono i vizi e i difetti coperti dalla garanzia in materia di appalto?

Ai sensi dell’art. 1667 c.c., una volta consegnata l’opera commissionata, l’appaltatore è tenuto alla garanzia per le difformità e i vizi dell’opera.

Le difformità consistono nella non corrispondenza tra l’opera eseguita e le prescrizioni contrattuali e/o le caratteristiche del progetto consegnato o sottoposto all’appaltatore.

Si parla di vizi in assenza di qualità o caratteristiche, per il mancato rispetto o del contratto o delle regole della tecnica o dell’arte esigibili al momento dell’esecuzione dei lavori. Ad esempio, con sentenza 25/01/2022, n. 2226, la Cassazione ha affermato che “l’accertamento dell’eventuale responsabilità per un vizio inerente all’isolamento acustico deve essere attuato tenendo conto delle norme tecniche di insonorizzazione degli edifici e dei canoni tecnici sulle sorgenti sonore suggerite dalle ordinarie regole dell’arte”.

È utile ricordare che, ai fini della garanzia prevista dal citato articolo, i vizi e le difformità devono avere un grado minimo di apprezzabilità, posto che non esiste e non si può pretendere la perfezione. Non a caso, particolarmente in ambito edilizio, sono spesso stabilite delle tolleranze di lavorazione all’interno delle quali l’opera può dirsi compiuta a regola d’arte.

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Assenza di certificato di abitabilità: legittimo il rifiuto ad acquistare

CASS. CIV., SEZ. II, ORD., 5 AGOSTO 2022, N. 24317

In un recente intervento, la Cassazione si è espressa sui diritti del promittente acquirente di un immobile nel caso in cui il venditore non sia in grado di consegnare il certificato di abitabilità (o agibilità).

La mancata consegna o il mancato rilascio del certificato di abitabilità (o agibilità) di per sé non invalida il contratto preliminare, tuttavia “integra un inadempimento del venditore”, tale per cui il promittente acquirente può rifiutarsi di concludere l’atto di acquisto o pretendere un risarcimento per la ridotta commerciabilità del bene. Tutto ciò a meno che quest’ultimo non abbia espressamente rinunciato al requisito dell’abitabilità o comunque abbia esonerato il venditore dall’obbligo di ottenere la relativa licenza.

In particolare il rifiuto a “stipulare la compravendita definitiva di un immobile privo del certificato di abitabilità o di agibilità, pur se il mancato rilascio dipenda da inerzia del Comune nei cui confronti, peraltro, è obbligato ad attivarsi il promittente venditore – è giustificato, poiché il predetto certificato è essenziale, avendo l’acquirente interesse ad ottenere la proprietà di un immobile idoneo ad assolvere la funzione economico-sociale nonché a soddisfare i bisogni che inducono all’acquisto, cioè la fruibilità e la commerciabilità del bene”.